Canzone di Elena

Elena Annichini

Annichini

I colleghi di Elena Annichini. Un pensiero.

In questi giorni, in queste ore, succede alla Dedalo qualcosa di sorprendente. Arrivano messaggi di cordoglio e condoglianze, messaggi ispirati ad Elena Annichini e densi di affetto, riconoscenza, stima per il suo operato; per la persona che era, per il bene che ha fatto. Molti si rivolgono a noi insegnanti come fossimo la Sua famiglia. E questo è un bellissimo pensiero che inorgoglisce e consola. E’ pur vero che viviamo a scuola questo lutto come un lutto familiare. Personale. Queste righe vogliono anche essere un ringraziamento sentito a tutti coloro che ci hanno scritto.

Ma sarebbe immeritato arrogarci un ruolo privilegiato di prossimità rispetto ad altri. La famiglia di Elena è quella dei bambini che ha cresciuto, dei genitori che ha sostenuto con il suo lavoro, degli amici che ha saziato di attenzioni e cure. Noi colleghi della Dedalo non siamo che un pezzetto di una famiglia assai più estesa. Chi ha potuto partecipare ai funerali avrà percepito l’ampiezza del suo abbraccio, l’estensione della sua appartenenza. Lo sguardo di Elena era rivolto all’umanità. Tanto più scherzava su se stessa, tanto più prendeva in giro le proprie debolezze e i propri limiti, tanto più innalzava il suo sguardo oltre.

Come ha potuto Elena, in una vita tragicamente breve, incidere così tanto? Scolpire così in profondità la sua impronta? Dov’è la grandezza della sua personalità? non era tanto in lei, stava piuttosto nelle forze che riusciva a generare; stava nelle energie che attorno a lei montavano. Stava nella sua fiducia incondizionata nella positività delle cose. Sapeva come alzare il Vento. Nessuna madre, pur essendo artefice di una nuova vita si vanterebbe del mistero della maternità, del mistero della creazione. Elena non si sarebbe mai vantata di un risultato terapeutico, del divertimento compiaciuto di un gioco. Avrebbe semplicemente detto che la forza è nella Musica, nella Danza, nel Ritmo. Quella forza non era sua. Lei era capace di leggerla e gestirla. Elena generava forze come una madre genera un figlio. Metteva a compimento un’energia che è nella Natura, nella vita stessa. Lei sapeva come fare perché credeva profondamente in ciò che faceva. E ciò che faceva era segnato da una fede incondizionata nel Bene. Pochi musicisti possiedono la consapevolezza della forza della Musica come lei possedeva. La sua capacità di cogliere e sentire quelle forze la rendeva magica.
Era dickensiana nel profondo: il piccolo sforzo speso nel Bene è destinato a moltiplicarsi, espandersi, aprirsi. Il poco buono che fai oggi, diventerà grande domani. Metti in moto un processo che poi va avanti da solo, oltre te stesso; a prescindere da te stesso. “Siamo musica” ci scrive nella sua canzone. Siamo l’energia che riusciamo a raccogliere e restituire, siamo la vibrazione simpatica delle risonanze della vita. “Siamo” nella misura in cui “Risuoniamo” alle cose del mondo. Senza questa possibilità di risuonare, siamo muti, sordi, ciechi.

Dopo la tremenda giornata di ieri di pianti, di lacrime e di sgomento restiamo dunque attoniti pensando alle sconfinate potenze che Elena ha messo in campo con la sua leggerezza. La sua morte rivela queste potenze. “Vi restituisco l’energia che mi avete dato”, questo ha detto il giorno dell’inaugurazione della nostra nuova scuola. Perché siamo musica e le vibrazioni devono fondersi, circolare, liberarsi: il suono genera altro suono e l’armonia è sempre più della somma delle parti. Ciascuno ha una sua parte, ognuno ha una parte nel Canto. Ciò che circola fra noi non è né mio né tuo. E’ qualcosa che si muove molto più forte della nostra stessa volontà. E’ come un vento che si muove sulle cose. Le cose passano di mano in mano. E la vita è come un dono che si prende, si custodisce e si restituisce affinché circoli.

Un’amica ancora ieri raccontava che la figura di Elena è stata così originale che qualche bambino alla domanda “cosa farai da grande” rispondeva “la Elena Annichini”, come fosse quella una professione. Un mestiere che ha il fascino della magia e del gioco, della frenesia e della compostezza. Elena ha istituito il “grazie” come forma di saluto. Poteva dire “grazie” in qualsiasi circostanza anche quando ti porgeva un caffè o ti faceva una gentilezza. Sapeva scusarsi di ogni cosa, persino di esistere ed era pronta ad assumersi qualsiasi colpa o responsabilità. Eppure non lo faceva certo per mortificare se stessa. Sapeva che “grazie” e “scusa” erano le parole magiche dei suoi incantesimi. Quelle parole creavano la luce del suo teatro, lo scenario dell’unico dialogo che riteneva possibile, quello profondamente gentile. Quello che unicamente le interessava. Quello che consentiva al Vento di alzarsi.

I colleghi di Elena, 10 ottobre 2017

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